JosephK., sul discorso scuola, pur apprezzando il tuo intervento (che purtroppo è un'esperienza abbastanza comune) ti devo dire che non è così sempre e comunque. Intanto non spererei troppo su scienze motorie che è diventata una fucina di pura teoria e di mancanza di abilità di base, già nel docente. L'insegnante di educazione fisica (anche io lo sono, ho 50 anni e certamente fuori peso, rispetto ai miei 100 Kg/forma dei miei 25 anni) può comunque lavorare con i ragazzi per fare un lavoro educativo, che transita anche e sopratutto, attraverso la motricità. Ora: i DVD se li possono infilare dove vogliono, dei genitori che ti minacciano la denuncia, in quasi 30 anni di mestiere (la carriera è altra cosa) non ne ho incontrato nessuno (e almeno 1 infortunio anno ce l'ho anche io, con circa 200 studenti........), degli spazi a mia disposizione prefersico non raccontare ma ti dico che il 70-75% delle mie lezioni le faccio in un prato. Ho conosciuto una pletora di colleghi interessati ad arrivare alla fine del mese (e sinceramente non sono tutti di educazione fisica) o a proiettare DVD che non interessano, giustamente, a nessuno, però guarda che ci sono anche alcuni veri professionisti che ai loro ragazzi (la Scuola non interessa più a nessuno) ci tengono davvero. Ti posso garantire che ci sono periodi dell'anno in cui a cena devo tornare a Milano, piuttosto che andare ad Edolo (Bs) perchè i miei ex studenti dopo decenni mi vogliono con loro (e non ne trovo molti di altra disciplina). Ti assicuro che non sono molto tenero, però mi illudo che gli studenti sappiano distinguere tra insegnanti e insegnanti. A breve, forse, riuscirò a pubblicare un libretto sulla scuola. Ti informerò; però, non fare di tutta un'erba un fascio, perchè è troppo facile e perchè è fattibile con tutte le categorie lavorative.JosephK. ha scritto:Ecco: questo intervento di Andrea è da portare e far leggere ad ogni livello federale, ma soprattutto questi due punti sono da sottolineare. Primo: la quantità di tempo in cui i ragazzi "giocano": è vero che questo è possibile se hai un numero decente di club ad una distanza ragionevole, e il Galles è piccolo e può anche materialmente fare tutto questo con facilità. Ma è anche vero che (l'ho visto in Francia) la dimensione sportiva è considerata realmente pedagogia. Da noi a scuola è l'ora di svacco ed è tenuta da 50 enni obesi ignoranti di ogni minima base sportiva ed educativa. Senza tenere conto dell'idiozia del genitore (mi capitò al Liceo) che fa causa all'insegnante di Ed. Fisica perché suo figlio si storce una caviglia durante l'ora a scuola. Con conseguenza che per tutto l'anno la nostra ora di Ed. Fisica fu guardare (non scherzo) dei video in cui si spiegavano cose di aerobica, sull'allenamento ecc. Se dalla scuola non si inizia a capire che lo sport è formativo a livello spirituale oltre che fisico (il famoso mens sana in corpore sano) non si va da nessunissima parte. Spero che le nuove generazioni di insegnanti, quelle uscite da Scienze motorie, in questo portino un po' di freschezza e voglia di fare.andrea12 ha scritto: Tutte le squadre giocano contro tutti; si comincia a settembre e si finisce i primi di giugno. I club hanno dei riferimenti, soprattutto in Galles, nelle grandi franchigie che, a loro volta, mandano spesso dei loro osservatori o giocatori a lavorare con i ragazzi, ad allenare, anche solo al terzo tempo. Da qui nascono collaborazioni molto stimolanti e se sei buono, fai fagotto dal paese e vai in città (altro che Accademie).
Speriamo per oggi: buon rugby ai ragazzi
Secondariamente spero che il concetto di "club fiancheggiatore" che ad es. gli Aironi stanno portando avanti diventi un po' quello che Andrea ha descritto per il Galles: se un Pratichetti, un Perugini, un Ongaro vanno a Como ad un allenamento di ragazzi, a Mantova a Parma ad un terzo tempo e portano la loro esperienza in campo o semplicemente condividono un terzo tempo si fa vedere che la franchigia è realtà di cui veramente si fa parte e che quello è l'obiettivo da raggiungere. Secondo me anche la giusta idea degli Aironi di giocare a Monza o comunque fuori da Viadana qualche partita serve a estendere il rugby e a portarlo vicino alle realtà che della franchigia fanno parte. Perché la famiglia che la domenica va a fare festa vedendo la partita, cosa che in parte da noi succede (intendo con numeri importanti) durante il 6 nazioni, sarebbe il vero patrimonio di condivisione del valori rugbystici, di diffusione dell'amore per questo sport. Perché molto più di tanti programmi calati dall'alto per avvicinarsi ad un ovale basta uno che ti porta ad una partita, che ti fa vivere un terzo tempo, che ti fa entrare al campo, ad un allenamento...
Con simpatia, Andrea