Inviato: 25 apr 2005, 10:23
\"Il rugby non c\'è nulla da fare, è un gioco straordinario. Niente a che vedere con gli altri, ma no. E\' qualcosa che vola più in alto, che non si spiega, non lo si capisce senza provare. E\' dignità e disciplina, educazione e onore, fatica e generosità. E\' rispetto per l\'avversario in un contesto che mette a dura prova ogni disposizione. E\' aggressività da scaricare dentro limiti assoluti e precisi che u n giocatore si impone da solo, per forza, se vuole essere buono davvero. E poi è una struttura sociale articolata con tanto di ideologie in cemento armato, di utopie da rincorrere per sempre. Una comunità che, se funziona, funziona come nessuna e ti porta avanti, nella vita prima che in campionato. Si gioca in 15. la mischia 8 uomini, i più pesanti, suddivisi per linee. Prima linea: 3 giocatori. Due piloni, il tallonatore in mezzo. Operai, proletariato puro, fanti in trincea, carne da macello. Gente che deve mettere la testa nel mucchio e tenere duro, spalare merda, masticare fango e spingere contro un muro, mai andare in dietro perché se va indietro la prima linea è finita per tutti, non arriva una verza su qualunque tavola, a cominciare dalla loro. Niente exploit, mattoni da accatastare, uno sull\'altro e on è mai finita. Tornio, fonderia, umiltà e cuore. \"Se vai oltre la scuola media, non sei buono per quella roba lì. Scuola dell\'obbligo e basta, altrimenti ti monti la testa e chi si è visto si è visto\" diceva il Mori, il massaggiatore e aveva ragione.
<BR>Dietro: 2 giocatori. Seconda linea. Terziario arretrato. Alti, per saltare nelle rimesse in gioco, per segnalare velleità di carriera, arraffare nel cielo \'ste palle benedette e difenderle, fare muro, argine, stare lì dove sono nati anche se vorrebbero venire via dai sobborghi e tentare di fare carriera, di abitare in centrocittà.
<BR>Terza linea: 3 giocatori. Emigranti, malavitosi, una razza che fa fortuna ma che resta attaccata ai bassifondi, alle origini, alla mischia, dove torna dopo le scorribande con la spider rossa, per spingere, come facevano prima, come hanno sempre fatto e faranno per tutta la vita. Forti ma non pesanti, potenti e agili, sempre pronti ad arraffare due soldi, a seguire il vento la palla quando c\'è da attaccare, a sostenere le avanzate, a fare punti, a difendere quando si mette male e ci vogliono gli specialisti, loro, quelli che chiami quando sei disperato e vuoi farla pagare al bastardo che ti ha rubato la donna.
<BR>Numero 9: mediano di mischia. Un sindacalista, il sindacalista dei poveri, della mischia. Quello che tutela gli operai, ma che dagli operai sta un po\' a distanza, grazie a loro, sino a quando non è chiamato all\'azione, a guadagnare un metro, un tozzo di pane, un piccolo aumento del salario. Piccolo, il più piccolo di tutti, una saetta, una faina. Attaccabrighe ma anche furbo, mandato alle riunioni con un compito preciso: portare a casa il massimo, il meglio, approfittare di tutto, di una disattenzione, della stanchezza, di un\'incertezza microscopica.
<BR>Numero 10: mediano di apertura. Il sindaco, l\'unico che può parlare quando vuole e dee avere le idee chiare e le parole giuste per sfruttare il privilegio. Ogni conquista della mischia, ogni palla vinta è roba sua, come fosse la riserva di grano per l\'inverno da destinare ai cittadini, come fosse un patrimonio da amministrare, da investire al meglio. Testa in primo luogo e poi rapidità di decisione, di azione. Distribuire i palloni o andare via da solo, senza esagerare, senza strafare, perché se fa una cazzata, il sindaco, la pagano tutti ed è rivoluzione.
<BR>Mischia, otto; mediani, due. Poi ci sono i trequarti, fanteria e cavalleria, impiegati di concetto e laureati. Due centri, due ali. Veloci, precisi come chirurghi, gente che deve saperla lunga, deve intortare la concorrenza, giocare con la palla, fintare, bucare, fare meta, far fare bella figura a tutti e fermare quelli della stessa pasta che stanno dall\'altra parte e si sono laureati pure loro a pieni voti.
<BR>Poi c\'è l\'estremo, solo, in retroguardia, come un poliziotto. Lui vigila, previene, arresta. Deve muovere con l\'anticipo giusto, sennò ciao, sbanca svaligiata. Deve leggere il gioco, stare sveglio anche di notte e se è il caso avanzare, infiltrarsi, aggredire. Si passa indietro, per dare un vantaggio a chi gioca contro, nessuno regala nulla, ed è una guerra, una lotta vera dove i colpi proibiti non ci stanno, ti sbattono fuori, sputtanato per sempre, anche se l\'hai fatto perché eri esasperato, perché stavi perdendo di brutto, perché non ne potevi più. Soprattutto, devi pensare agli altri, ai tuoi, alla tua comunità, devi essere pronto a sacrificarti per il bene di un compagno, a morire per produrre un vantaggio. On c\'è credo politico o sociale che tenga: il rugby funziona nell\'amicizia, altrimenti non c\'è, proprio non esiste ed è magico, speciale per questo. Alla fine si forma un corridoio, si applaude chi ha perduto e si beve, ci si scambia la cravatta del club, ci si saluta rendendo l\'onore delle armi anche a chi non era in giornata, proprio no, ma in campo è rimasto sino all\'ultimo fischio\".
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<BR>da \"Il terzo tempo\"
<BR>Marco Pastonesi- Enrico Pessina
<BR>Dietro: 2 giocatori. Seconda linea. Terziario arretrato. Alti, per saltare nelle rimesse in gioco, per segnalare velleità di carriera, arraffare nel cielo \'ste palle benedette e difenderle, fare muro, argine, stare lì dove sono nati anche se vorrebbero venire via dai sobborghi e tentare di fare carriera, di abitare in centrocittà.
<BR>Terza linea: 3 giocatori. Emigranti, malavitosi, una razza che fa fortuna ma che resta attaccata ai bassifondi, alle origini, alla mischia, dove torna dopo le scorribande con la spider rossa, per spingere, come facevano prima, come hanno sempre fatto e faranno per tutta la vita. Forti ma non pesanti, potenti e agili, sempre pronti ad arraffare due soldi, a seguire il vento la palla quando c\'è da attaccare, a sostenere le avanzate, a fare punti, a difendere quando si mette male e ci vogliono gli specialisti, loro, quelli che chiami quando sei disperato e vuoi farla pagare al bastardo che ti ha rubato la donna.
<BR>Numero 9: mediano di mischia. Un sindacalista, il sindacalista dei poveri, della mischia. Quello che tutela gli operai, ma che dagli operai sta un po\' a distanza, grazie a loro, sino a quando non è chiamato all\'azione, a guadagnare un metro, un tozzo di pane, un piccolo aumento del salario. Piccolo, il più piccolo di tutti, una saetta, una faina. Attaccabrighe ma anche furbo, mandato alle riunioni con un compito preciso: portare a casa il massimo, il meglio, approfittare di tutto, di una disattenzione, della stanchezza, di un\'incertezza microscopica.
<BR>Numero 10: mediano di apertura. Il sindaco, l\'unico che può parlare quando vuole e dee avere le idee chiare e le parole giuste per sfruttare il privilegio. Ogni conquista della mischia, ogni palla vinta è roba sua, come fosse la riserva di grano per l\'inverno da destinare ai cittadini, come fosse un patrimonio da amministrare, da investire al meglio. Testa in primo luogo e poi rapidità di decisione, di azione. Distribuire i palloni o andare via da solo, senza esagerare, senza strafare, perché se fa una cazzata, il sindaco, la pagano tutti ed è rivoluzione.
<BR>Mischia, otto; mediani, due. Poi ci sono i trequarti, fanteria e cavalleria, impiegati di concetto e laureati. Due centri, due ali. Veloci, precisi come chirurghi, gente che deve saperla lunga, deve intortare la concorrenza, giocare con la palla, fintare, bucare, fare meta, far fare bella figura a tutti e fermare quelli della stessa pasta che stanno dall\'altra parte e si sono laureati pure loro a pieni voti.
<BR>Poi c\'è l\'estremo, solo, in retroguardia, come un poliziotto. Lui vigila, previene, arresta. Deve muovere con l\'anticipo giusto, sennò ciao, sbanca svaligiata. Deve leggere il gioco, stare sveglio anche di notte e se è il caso avanzare, infiltrarsi, aggredire. Si passa indietro, per dare un vantaggio a chi gioca contro, nessuno regala nulla, ed è una guerra, una lotta vera dove i colpi proibiti non ci stanno, ti sbattono fuori, sputtanato per sempre, anche se l\'hai fatto perché eri esasperato, perché stavi perdendo di brutto, perché non ne potevi più. Soprattutto, devi pensare agli altri, ai tuoi, alla tua comunità, devi essere pronto a sacrificarti per il bene di un compagno, a morire per produrre un vantaggio. On c\'è credo politico o sociale che tenga: il rugby funziona nell\'amicizia, altrimenti non c\'è, proprio non esiste ed è magico, speciale per questo. Alla fine si forma un corridoio, si applaude chi ha perduto e si beve, ci si scambia la cravatta del club, ci si saluta rendendo l\'onore delle armi anche a chi non era in giornata, proprio no, ma in campo è rimasto sino all\'ultimo fischio\".
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<BR>da \"Il terzo tempo\"
<BR>Marco Pastonesi- Enrico Pessina