Storia del campionato italiano e del super 10

La Storia del Rugby, le sue Tradizioni, le Leggende, attraverso documenti, detti, racconti, aforismi.

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MAX_AM
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Grun e la storia del campionato italiano

Messaggio da MAX_AM »

Finalmente!
Sono 50 giorni che sto davanti al video con il caffè in mano - che si è anche un pò freddato - a clikkare sul tasto refresh/aggiorna in attesa di un nuovo capitolo.... Ma nel frattempo ... Chi g'ha vinto il 6 Nazioni?
:)
Grazie Grun
"I think It's time ..." (Raphaël Ibañez)
GRUN
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RE: foto rugby italiano anni 60

Messaggio da GRUN »

I patavini chiudono terzi a 24 punti, con una sola lunghezza di distacco dal Parma. I trevigiani vincono addirittura lo scudetto, guidati in campo ed in panchina dal rodigino Topa Milani. Il trionfo dei trevigiani è per certi versi sorprendente, in considerazione della pessima annata trascorsa nel campionato precedente, che aveva visto Frelich e compagni rischiare la retrocessione. Ma qualità tecniche e valori individuali non mancano certo ai bianco-azzurri, che nel 1953/54 avevano perso lo scudetto allo spareggio mettendo in mostra una linea arretrata veloce ed immaginifica. A fare però la differenza nell'anno del primo scudetto trevigiano sono la coesione tra i giocatori e la capacità di trovare un'identità marcata e determinante. E' una squadra formata da giocatori per lo più giovani (l'esperienza è garantita da Frelich e dal triestino Panizzut, ragioniere costretto a sfollare anni prima dalla sua terra) ed entusiasti, quasi tutti figli di gente umile e povera, ma impegnata, dall'immediato e traumatico dopoguerra, a risalire la china lavorando duro, sempre cercando dignità e decoro anche nelle situazioni economiche più disagiate. Quel gruppo di rugbisti finisce per rappresentare allora il desiderio di una città intera di voltare pagina, anche se a volte le pagine pesano un quintale. Quel gruppo di ragazzi assorbe le istanze profonde della comunità che rappresenta e ci riesce, come avverrà nel percorso del rugby dilettantistico di tutte le realtà storiche e geografiche, perché gli uomini che giocano sono anche gli uomini che vivono, "da dentro", le passioni e le contraddizioni di quella comunità. La loro funzione rappresentativa, con tutti gli snodi simbolici, è, e sarà ancora per molti decenni a venire, quella di individui che svolgono quel ruolo all'interno di un preciso contesto, senza le forme di alienazione (alienazione privilegiata, intendiamoci, ma pur sempre tale) che invece sono precipue degli sport professionali, con gli atleti che possono assurgere a icone o a simboli pur essendo socialmente e culturalmente "realtà altra" rispetto all'ambiente nel quale trascorrono la propria esistenza sportiva. La Faema Treviso di quel campionato è la città di Treviso, ad essa si sovrappone, in un rapporto di osmosi che già avevamo constatato per Rovigo e che ritroveremo in futuro pure per altre espressioni rugbistiche italiane (non per tutte, però).
GRUN
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RE: foto rugby italiano anni 60

Messaggio da GRUN »

La vittoria di Treviso del 1956, la vittoria di una squadra povera, rappresentativa di una città e di una provincia legate ad un'economia prevalentemente agricola, è l'ennesima prova che il rugby italiano è certo intimamente connesso alla storia del paese, ma per farlo predilige, in una sorta di movimento oppositivo e di controtendenza, testimoniare l'esistenza e la vitalità di contesti "di minoranza". L'Italia, come già evidenziato pagine addietro, si è ormai allineata alle politiche economiche dei principali paesi occidentali ed affida il proprio sviluppo ad un'industria ormai preponderante rispetto ad agricoltura e terziario. Il 15 marzo 1953 a Genova, nel quartiere di Cornigliano, da anni deturpato dagli insediamenti industriali e consegnato alla siderurgia, Oscar Sinigaglia, presidente della Finsider, accende il primo altoforno della Cornigliano SpA, destinata qualche anno dopo a fondersi con la Ilva e a dare vita all'Italsider. E' il segno inequivocabile di un mutamento di costumi ed abitudini: la Fiat ha bisogno di lamiere e da lì a poco le industrie di elettrodomestici, galvanizzate dall'ondata di benessere e di nuovi bisogni alzata dal boom economico, aumenteranno le richieste per una produzione sempre più travolgente. L'Italia passa da una produzione di acciaio di 5908 tonnellate del 1956 ad una, nel 1960, di 8229 tonnellate. L'espansione degli stabilimenti siderurgici a Taranto, Genova e Bagnoli determina migrazioni imponenti dalle campagne alle città in questione e, nel caso del capoluogo ligure, di migliaia di famiglie dalle regioni meridionali. Casi analoghi, con i medesimi problemi legati all'integrazione degli immigrati e alle forme d'impatto sull'ambiente e sugli abitanti dei centri urbani provocate dagli insediamenti industriali, sono riscontrabili in moltissime aree del paese, specie nel comparto nord occidentale. E' un sommovimento epocale, che agisce non solo sulle strutture economiche, sulle dinamiche di reddito e sulla detrminazione e la soddisfazione dei bisogni, ma anche sulle strutture profonde dell'immaginario e sulle più diverse forme di cultura ed espressione. Realtà secolari si sgretolano, nuovi linguaggi e nuove abitudini s'impongono. Il rugby italiano, che per tutte le ragioni che abbiamo già enucleato non può non affermare una natura "altra" rispetto ai principali sport di squadra, ribadisce anche e soprattutto in questa fase storica il proprio ruolo rappresentativo e conservativo delle realtà geografiche, sociali e culturali meno visibili ed avvantaggiate.
GRUN
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RE: foto rugby italiano anni 60

Messaggio da GRUN »

Analizzando brevemente la storia dei campionati italiani di calcio e di basket dal dopoguerra ad oggi, si possono verificare differenze, rispetto al rugby, sempre più sostanziali e designative. Nel calcio solo due squadre, in un arco temporale di oltre sessant'anni, rappresentative di centri urbani con meno di 400.000 abitanti sono state in grado di vincere il campionato: il Cagliari nel 1969/70 (uno degli eventi più incredibili della storia dello sport italiano) ed il Verona, nel 1984/85. Già dall'immediato dopoguerra appare evidente la presenza, nelle squadre maggiori, specie del nord Italia, di rappresentanti importantissimi dell'imprenditoria capitalistica italiana. La storia di Juventus, Milan, Inter è indissolubilmente connessa alla presenza degli Agnelli, dei Rizzoli, dei Moratti, solo per trascrivere i nomi più eclatanti, necessari a garantire quei considerevoli flussi di denaro necessari per gestire aziende impegnative quali erano (e continuano ad essere) i club appena nominati. Senza poi trascurare il caso del Napoli e del maresciallo Lauro, prodotto di una borghesia costituivamente, culturalmente diversa, per storia, procedure di azione e fini intrinseci, da quella nord occidentale, ma sempre intrigata dalle vicende, spesso torbide, del primo sport nazionale e bramosa di ottenere quelle forme di consenso popolare e di prestigio sociale connesse a quel coinvolgimento, con tutte le ricadute, politiche (specie nel caso di Lauro) ed economiche del caso.
Anche il basket, già negli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale, imbocca strade che lo porteranno a rapportarsi con continuità alle più varie espressioni imprenditoriali e capitalistiche, spostandosi dalla ruspante dimensione amatoriale delle origini verso i paradigmi del professionismo. Non a caso la figura centrale e di riferimento per il movimento cestistico, nell'ambito dei club e del campionato, sarà il cavalier Bogoncelli, triestino trasferitosi a Milano e primo nello sport italiano a legare i destini di una società sportiva a quelli di un'azienda, nello specifico la Borletti, azienda milanese produttrice di sveglie e contachilometri. Il suo esempio, che troverà successivamente una sorta di sublimazione nel rapporto con la Simmenthal, verrà presto seguito da altre realtà cestistiche, quali ad esempio la Miranti Bologna e la Benelli Pesaro, con conseguenze capaci di conferire una specificità e un'identità a quello sport nella sua espressione italiana.
Non è casuale che questi due sport si avvarranno presto del contributo di professionisti stranieri e che si svincoleranno (anche se per le realtà di provincia, sia calcistiche che cestistiche, ci saranno evidenti e proficue eccezioni) dalla necessità di affidarsi a giocatori cresciuti nel settore giovanile e comunque generati dall'ambiente che saranno chiamati a rappresentare, caratteristica questa invece precipua del nostro rugby, che vivrà in regime di autocrazia fino alla fine degli anni sessanta, orgoglioso della propria povertà e allo stesso tempo da questa condizionato in molte delle scelte fondanti.
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Re: Storia del campionato italiano e del super 10

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A metà degli anni cinquanta il movimento italiano ha così definito gli elementi identificativi ed i paradigmi di riconoscimento (anche se stanno per entrare in gioco le Fiamme Oro, che si proporranno fin dai primi passi come un'eccezione difficile da comprendere e metabolizzare per il nostro rugby), i quali rimarranno tali sostanzialmente fino agli anni novanta. Appare chiaro che uno dei tratti culturali più nitidi da enucleare rappresenta il trait d'union e il sedimento in comune tra il rugby italiano e le altre espressioni ovali mondiali: la difesa ad oltranza dei miti delle origini, che determina, come corollari consequenziali, il culto della memoria storica ed il rispetto per gli elementi della tradizione. Le spinte verso le varie forme di modernizzazione, che in soldoni sono quelle ispirate dalle tentazioni del professionismo, troveranno, a lungo, tenaci opposizioni, anche se, curioso paradosso, nessun altro sport ha cambiato così spesso e così in profondità il proprio regolamento quanto ha fatto il rugby nei (quasi) due secoli di esistenza. Conservatore in "politica estera" ed aperto alla persuasione e alle novità in "politica interna", il rugby, il rugby mondiale intendo trova anche attraverso questa contraddizione il modo di plasmare la propria originalità e la propria specificità.
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Re: Storia del campionato italiano e del super 10

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Specificità ed originalità che però non significano, a mio modestissimo parere, univocità.
Per troppo tempo il rugby è stato proposto ed interpretato come un monolite inscalfibile, come un sostantivo indeclinabile, come una forza culturale ed espressiva i cui caratteri unificanti ed unificati erano in numero e di peso superiori rispetto agli elementi disgregatori, come un pianeta entro il quale le spinte centripete si imponevano su quelle centrifughe. Riallacciandomi a quanto scritto in altra sede, sostengo invece che non esiste un canone comune condiviso. Certo, i caratteri unificanti ed unificati ai quali ho fatto cenno poco sopra esistono e sono esistiti, indispensabili, necessari per garantire a questo sport una piattaforma universale sulla quale tutti possono andare a poggiare. Il rispetto di un unico regolamento e la difesa dei miti delle origini hanno assolto egregiamente per decenni a questa funzione. Ma già nelle declinazioni tecniche e tattiche abbiamo assistito, pure nelle fasi embrionali ed aurorali, ad interpretazioni molto differenziate,talora oppositive. Se trasferiamo l'analisi alla vastissima area socio-culturale che il rugby è stato in grado di occupare, allora non possiamo non accorgerci di quante e quanto diverse siano state le visioni del mondo di chi l'ha giocato ed insegnato e di quanti e quanto differenti gli esiti determinati.
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Re: Storia del campionato italiano e del super 10

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Il rugby visionario e focoso che Villepreux, finita la carriera agonistica, andò a predicare a Tahiti, con lo sguardo intriso delle suggestioni di Gauguin, poteva essere lo stesso, avere i medesimi scopi, arrivare agli stessi approdi di quello, scolpito nel ferro che veniva insegnato a Stellenbosch, cuore della cultura ovale sudafricana, ma anche luogo di formazione delle elites politiche boere destinate a perpetuare per anni quell'immonda vergogna chiamata apartheid? Ed il correre dietro alla palla ovale negli splendidi prati di splendidi college dei giovani inglesi appartenenti alle classi più abbienti veniva governato o indirizzato dagli stessi obiettivi formativi e portava alle medesime conseguenze del correre dietro allo stesso tipo di palla dei minatori gallesi? Non credo. Potevano riscontrarsi dei punti in comune e si poteva attingere, specie sul piano tattico e tecnico, a culture altre, ma prevalevano i tratti di distinzione o di opposizione. E allo stesso modo, non si potrebbe capire la realtà rugbistica italiana senza evidenziare quanto forti fossero i tratti peculiari e quindi identificativi delle varie realtà e e con quanta forza ognuna di loro affermasse differenze rispetto alle altre. Perché anche all'osservatore meno attento non poteva non apparire la divaricazione tra l'ambiente, il contesto, i modelli di riferimento del Petrarca e tra quelli precipui della realtà rodigina o di quella aquilana. Il pallone, le dimensioni del campo, il regolamento, quelli sì, valevano per tutti, ma da quella piattaforma comune si partiva per affermare le proprie specifiche identità ed il proprio modo di intendere il gioco e quindi la vita.
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Re: Storia del campionato italiano e del super 10

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Torniamo al campionato italiano.
Prima che nel giugno del 1956 Treviso possa festeggiare il primo scudetto, la federazione ha già approntato il piano destinato a rivoluzionare i campionati successivi. La serie A si espande in modo abnorme e da dieci squadre passa a ventinove, dicesi ventinove, sistemate i tre gironi da sette e in uno da otto. Le prime due di ogni girone accedono alla seconda fase, articolata su su due gironi da quattro. Le vincenti giocano la finale, strutturata su andata e ritorno. Anche i non sfiorati dal folgorante tocco del genio possono capire che è stato partorito un mostro. In pratica seicento, seicentocinquanta giocatori vengono fagocitati dalla massima serie; ciò significa, in un movimento che non arriva a contare cinquemila tesserati (ed escludendo fra questi gli arbitri, i dirigenti, gli allenatori ed i ragazzi delle giovanili ) che buona parte dei rugbisti in grado di deambulare, intendere e volere (si spera) sono considerati abili e arruolati per la serie A. Le intenzioni della federazione sono persino lodevoli e sicuramente comprensibili: si cerca di coinvolgere e motivare realtà piccole e talvolta periferiche, che spesso non hanno goduto nel corso della propria militanza nelle serie inferiori di adeguato seguito di pubblico e di attenzioni da parte dei giornali. Creando dei gironi interregionali si spera anche di attivare "l'effetto campanile", sempre intrigante per gli italiani, con molte partite tra squadre della stessa città o della stessa provincia, oltre naturalmente a ridurre i costi delle trasferte. Ma già qui, nelle composizioni dei gironi, si scorgono le prime incongruenze, con Treviso messa misteriosamente nel girone delle piemontesi e di tre lombarde e Brescia sistemata in quello del Triveneto. Altri problemi si palesano col procedere del torneo: il prevedibile livellamento verso il basso (che in alcune partite è un autentico deragliamento, come testimoniano i punteggi) determina anche una rapida disaffezione da parte dei tifosi, quelli delle squadre storiche delusi dalla pochezza di certi match e dall'impossibilità di assistere a confronti ormai storicizzati, quelli di molte delle nuove arrivate sconfortati per il divario troppo ampio tra le formazioni di vertice e le loro. Inoltre la formula così contorta ed annacquata, allungando a dismisura il torneo e levando pepe a tanti scontri diretti contribuisce a rendere ulteriormente inappetibile il campionato, anche per i mezzi di comunicazione, oltre a castrare l'attività internazionale, degli azzurri in primis, ma anche delle selezioni e di alcune squadre di club, che avevano approfittato di alcuni periodi, come quelli delle vacanze natalizie e pasquali, sempre lasciati liberi dal campionato, per confrontarsi con realtà rugbistiche straniere quasi sempre più evolute della nostra.
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Re: Storia del campionato italiano e del super 10

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Anche il tentativo di ridare ossigeno alle espressioni rugbistiche di centri urbani grandi, quali Roma (che si trova rappresentata da ben quattro formazioni nel girone D, quello inerente all'Italia centro-meridionale), Napoli (con la Partenope), Torino (col Cus Torino) e meno popolosi, ma comunque importanti o per passato ovale più o meno glorioso (Trieste e Bologna, Firenze col Cus) o per potenzialità (Udine, Alessandria, unici centri di riferimento di aree e province estese), finisce per depotenziarsi. Quasi tutte queste squadre, tratte "a forza" dalla cadetteria, non sono pronte per affrontare il salto e finiscono per disputare un torneo in alcuni casi anonimo, nei peggiori disastroso (Udine chiude ultima con un punto, Trieste penultima con cinque, Bologna terzultima con cinque, Cus Parma e Cus Modena ultime con quattro). Fanno eccezione la Lazio e l'A.S. Roma, che vincono il proprio girone , ma solo per la pochezza tecnica del raggruppamento; infatti quando passano ai gironi di semifinale rimediano sconfitte in serie e chiuduno ultime con zero punti la Lazio e uno l'A.S.Roma. L'univa vera voce nuova nel coro è il Cus Torino, che vince il girone B davanti ai campioni d'Italia della Faema Treviso, poi quello di semifinale davanti a Rovigo, per poi cedere in finale al forte e collaudato Parma, che pareggia 3-3 al Motovelodromo e poi vince con un perentorio 17-0 al Tardini. Il risultato del Cus Torino sorprende però fino ad certo punto, perché in realtà è un gruppo che si è formato garantendosi l'apporto dei "ribelli" della Ginnastica Torino, cresciuto giocando il rugby a XIII e ritornato al XV, con solide basi tecniche ed atletiche. Proprio il caso del Cus Torino è l'unico vero motivo di conforto per la federazione, che aveva voluto l'allargamento del campionato di serie A anche per contrastare l'avanzata dell'espressione tredicista.
L'evento però più significativo del 1956/57, conseguente a tutti gli starvolgimenti dei quali abbiamo detto, passa quasi inosservato: l'approdo nel rugby che conta delle Fiamme Oro Padova, la cui esperienza segnerà in profondità, tra luci ed ombre, la storia del rugby italiano.
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ATHLONE
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Re: Storia del campionato italiano e del super 10

Messaggio da ATHLONE »

Grun... hai novità? dai dimmi che hai scritto qualcosa...
C'è un viaggiatore in ognuno di noi, ma solo pochi sanno dove stanno andando! (Tir Na Nog)

Asti, Genova, Parma e Bologna sono AL NORD ma a sud del Po, se a qualcuno interessa...

Quando dissi alla gente nordirlandese che ero ateo, una donna durante la conferenza si alzò in piedi e disse: "Si, ma è nel Dio dei Cattolici o in quello dei Protestanti che lei non crede?" (Quentin Crisp)
GRUN
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Re: Storia del campionato italiano e del super 10

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Athlone buongiorno. Scusa il ritardo. Mi spiace, ma non ho buone (?) nuove per te.
Per definire la situazione e chiudere salutando con eleganza (spero), mi permetto di usare alcuni versi di uno dei sommi poeti italiani del novecento:
... Mi trovo qui a questa età che sai
né giovane né vecchio, attendo, guardo
questa vicissitudine sospesa;
non so più quel che volli o mi fu imposto,
entri nei miei pensieri e ne esci illesa.

Tutto l'altro che deve essere è ancora,
il fiume scorre, la campagna varia,
grandina, spiove, qualche cane latra,
esce la luna, niente si riscuote,
niente dal lungo sonno avventuroso.

(Mario Luzi, da Notizie a Giuseppina dopo tanti anni, testo contenuto in Primizie
del deserto, 1952).
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Re: Storia del campionato italiano e del super 10

Messaggio da ATHLONE »

Mi ritiro deferente...!
C'è un viaggiatore in ognuno di noi, ma solo pochi sanno dove stanno andando! (Tir Na Nog)

Asti, Genova, Parma e Bologna sono AL NORD ma a sud del Po, se a qualcuno interessa...

Quando dissi alla gente nordirlandese che ero ateo, una donna durante la conferenza si alzò in piedi e disse: "Si, ma è nel Dio dei Cattolici o in quello dei Protestanti che lei non crede?" (Quentin Crisp)
sanzen
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Re: Storia del campionato italiano e del super 10

Messaggio da sanzen »

Forse chissà se la luce che in questo periodo s'attenua ci suggerisce che il tempo è propizio per rimanere in casa dove si possono comodamente accarezzare i ricordi, i nomi e le date emergono dal passato perchè il presente è una storia che abbiamo già visto e abbiamo memoria di quello che ci ha portato a questo grande amore per il rugby.
Molto semplicemente è un invito leggero a ricordare scrivendo gli anni 60 e 70, poi possiamo anche fermarci a festeggiare un capitolo importante della storia di questo sport in Italia.
Zani dal lago d'Iseo che vince come n.8 tre titoli Francesi con l'Agen a metà dei 60 non è un pezzo di storia da raccontare? O pensate che sia solo storia recente quella degli emigrati a giocare in terre straniere? E prima di lui qualche altro aveva dato lustro al valore dei giocatori Italiani in Francia.....
trustever72
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Re: Storia del campionato italiano e del super 10

Messaggio da trustever72 »

GRUN ha scritto:Anche il tentativo di ridare ossigeno alle espressioni rugbistiche di centri urbani grandi, quali Roma (che si trova rappresentata da ben quattro formazioni nel girone D, quello inerente all'Italia centro-meridionale), Napoli (con la Partenope), Torino (col Cus Torino) e meno popolosi, ma comunque importanti o per passato ovale più o meno glorioso (Trieste e Bologna, Firenze col Cus) o per potenzialità (Udine, Alessandria, unici centri di riferimento di aree e province estese), finisce per depotenziarsi. Quasi tutte queste squadre, tratte "a forza" dalla cadetteria, non sono pronte per affrontare il salto e finiscono per disputare un torneo in alcuni casi anonimo, nei peggiori disastroso (Udine chiude ultima con un punto, Trieste penultima con cinque, Bologna terzultima con cinque, Cus Parma e Cus Modena ultime con quattro). Fanno eccezione la Lazio e l'A.S. Roma, che vincono il proprio girone , ma solo per la pochezza tecnica del raggruppamento; infatti quando passano ai gironi di semifinale rimediano sconfitte in serie e chiuduno ultime con zero punti la Lazio e uno l'A.S.Roma. L'univa vera voce nuova nel coro è il Cus Torino, che vince il girone B davanti ai campioni d'Italia della Faema Treviso, poi quello di semifinale davanti a Rovigo, per poi cedere in finale al forte e collaudato Parma, che pareggia 3-3 al Motovelodromo e poi vince con un perentorio 17-0 al Tardini. Il risultato del Cus Torino sorprende però fino ad certo punto, perché in realtà è un gruppo che si è formato garantendosi l'apporto dei "ribelli" della Ginnastica Torino, cresciuto giocando il rugby a XIII e ritornato al XV, con solide basi tecniche ed atletiche. Proprio il caso del Cus Torino è l'unico vero motivo di conforto per la federazione, che aveva voluto l'allargamento del campionato di serie A anche per contrastare l'avanzata dell'espressione tredicista.
L'evento però più significativo del 1956/57, conseguente a tutti gli starvolgimenti dei quali abbiamo detto, passa quasi inosservato: l'approdo nel rugby che conta delle Fiamme Oro Padova, la cui esperienza segnerà in profondità, tra luci ed ombre, la storia del rugby italiano.
ciao Grun

sto producendo un documentario sulla storia del rugby in Italia e girovagando su internet sono incappato in alcuni tuoi thread e ti faccio i complimenti per la conoscenza e l'accuratezza a questo proposito volevo sapere come mai sei così informato ma sopratutto se fossi interessato a collaborare al nostro progetto.
andrea
GRUN
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Re: Storia del campionato italiano e del super 10

Messaggio da GRUN »

Prima di trattare il "caso" Fiamme Oro, diamo un'occhiata al 1957 della nazionale italiana.
Se il campionato non emana bagliori, ancora più ombre si allungano sulle strade percorse dagli azzurri. L'attività si fa sempre più asfittica e nel 1957 la massima rappresentativa gioca solo due test ufficiali. La consueta Pasqua di passione, che ormai per triste tradizione vede la Francia nel ruolo della fustogatrice, si celebra il 21 aprile ad Agen, città dell'Aquitania intrisa di cultura e passione rugbistiche, e vede alla guida tecnica sempre una triade, ma con Giusto Fereoli, ex apertura del Rugby Parma, subentrare al dimissionario Buby Farinelli. Cambia poco: i francesi sono reduci da un Cinque Nazioni deludente, più per i risultati che per il gioco espresso. Alla fine del torneo si vedono consegnare un bel mestolone di legno, premio indesiderato ottenuto per aver perso tutti e quattro i test, seppur di (relativa) misura ognuno. Gli italiani sperano di trovarli dimessi e deconcentrati, ma la realtà parla una lingua diversa da quella delle attese. Per quel match non viene convocato alcun giocatore del Petrarca , una scelta quantomeno curiosa sotto il profilo tecnico, in considerazione del fatto che i padovani sono tra le squadre più forti e continue del campionato, almeno analizzando i risultati delle ultime stagioni. Il sospetto che si tratti un'azione "punitiva" nei confronti della società presiuduta dal professor Arslan, ormai da un anno in conflitto con Lais e le federazione, sorge e rimane... Il XV italiano regge fino alla mezz'ora: al 25' una bella meta del rodigino Malosti, quell'anno in forza al Tolone, riavvicina gli azzurri ai francesi, due volte in meta (con relative trasformazioni dell'estremo Vannier) nei primi minuti. Poi al 30' il centro della Lazio Mioni è costretto ad uscire per una lussaziione alla spalla: all'epoca non ci sono sostituzioni e chi perde un uomo resta in inferiorità numerica. Per l'Italia il secondo tempo è un calvario ed il 38-6 finale lo testimonia impietoso.
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