roy bish
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- jaco
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Mi ricordo bene anch'io di "baffetto" Azzali velocissima ala, tralatro fra gli EROI di quello straordinario 6-6 contro la Francia in un Battaglini innevato (febbraio '83).
Di Mascioletti che dire? E' stato l'ala italiana più forte che io abbia mai visto in azione assieme a Marcello Cuttitta (che per certi versi ne ha raccolto l'eredità e ai mondiali dell'87 giocavano assieme). Classe pura.
Quando lo vedevo giocare in neroverde qui a San Donà erano davvero "incubi" che però si trasformavano in bellissimi sogni quando vestiva la casacca azzurra...
Beh dagli anni 80 anche i nostri biancocelesti hanno cominciato a scrivere delle belle pagine della nazionale a cominciare da Pivetta e Torresan...
Di Mascioletti che dire? E' stato l'ala italiana più forte che io abbia mai visto in azione assieme a Marcello Cuttitta (che per certi versi ne ha raccolto l'eredità e ai mondiali dell'87 giocavano assieme). Classe pura.
Quando lo vedevo giocare in neroverde qui a San Donà erano davvero "incubi" che però si trasformavano in bellissimi sogni quando vestiva la casacca azzurra...
Beh dagli anni 80 anche i nostri biancocelesti hanno cominciato a scrivere delle belle pagine della nazionale a cominciare da Pivetta e Torresan...
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Accipicchia, caro Grun, se coloro che ti scrivono con sincera ammirazione, tra i quali mi annovero, sapessero che le tue conoscenze non sono solo rugbistiche, ma svariano su tutto lo scibile umano, dalla cucina al cinema alla letteratura, capirebbero di avere tra le mani una gemma. Nel rugby giocato, in verità hai fatto poco, ma hai fatto tanto per il rugby, a cominciare da quando portavi i tuoi pargoli, che allenavi in altro sport, che qui vedono come il fumo negli occhi, a vedere le partite dal vivo. Continua così, vecchio Grun.
Ciao a tutti da sanscrito, ormai ex giocatore che prima di addormentarsi sogna sempre di giocare
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Caro Sanscrito, vecchia, dolce palla di lardo che amavi raggomitolarti in prima linea, come giocatore sono stato un genio POCO COMPRESO delle linee arretrate... Forse abbagliai l'allenatore (il povero e mai troppo compianto Gaetano Begali, una di quelle persone umili e nell'ombra che hanno fatto tanto per tutto il movimento) per la troppa luce che emanavo vicino alla linee laterali... Tu non sai che scheggia fossi, ingrato... Dico a tutti i frequentatori del forum che il morbido Sanscrito, ottimo pilone e, come avete potuto constatare, signore apprezzabile per arguzia ed ironia, avrebbe anch'egli molto da raccontarci e stile per riuscirci...
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Bene, bene vedo che la situazione evolve con il contributo prezioso di vecchi giocatori (ex mai!).
Visto negli anni 80 varie volte il San Donà era una grande squadra.
Julian Gardner è stato una terza linea indimenticabile e certamente un grande innovatore pari ad un signore Sudafricano che 10 anni prima giocò nell'Aquila.....qualche ricordo più dettagliato?
Vogliamo continuare?
Visto negli anni 80 varie volte il San Donà era una grande squadra.
Julian Gardner è stato una terza linea indimenticabile e certamente un grande innovatore pari ad un signore Sudafricano che 10 anni prima giocò nell'Aquila.....qualche ricordo più dettagliato?
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Oddio...il tempo se non c'è si trova...Rob Louw nazionale sudafricano, reduce dal tempestoso tour del Sudafrica in Nuova Zelanda ( ricordate i sacchi di farina lanciati in campo da un areo e i disordini nelle strade per protestare contro la presenza dei razzisti sudafricani), viene all'Aquila a giocare con noi. Quanta emozione, rispetto e senso di inadeguadezza il giorno del primo allenamento e quanta semplicità e umiltà dimostrata dal campione che voleva imparare insieme a noi: che lezione! Rob, vero e proprio uomo immagine in patria, era velocissimo in attacco, duro (...sudafricano!!) in difesa. S'inserì alla grande in una squadra che faceva della velocità e della vita del gioco il suo credo profondo e sentito da tutti. Gli scudetti consecutivi del 1980 con Rob e dell'81 con This Burger, altro giocatore fortissimo nella sua concretezza tutta afrikans, non resero appieno le enormi potenzialità di quel gruppo... Ma ci sono stati altri importanti giocatori stranieri un pò ovunque in quegli anni... limitandoci all'Aquila come non ricordare Jorge Allen, argentino malinconico, Mike Brewer, teorico sopraffino con un enorme bagaglio tecnico, e poi il grande Frano Botika...classe pura...ma è un'altra storia...GRUN ha scritto:Resta con noi Bix... Sanzen credo ti riferissi a Louw, che giocò a L'Aquila tre campionati nella prima metà degli anni ottanta, ma credo che sia più opportuno che ci educa sull'argomento VEROSQUALO, quando vorrà ed avrà tempo...
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verosqualo ha scritto:Oddio...il tempo se non c'è si trova...Rob Louw nazionale sudafricano, reduce dal tempestoso tour del Sudafrica in Nuova Zelanda ( ricordate i sacchi di farina lanciati in campo da un areo e i disordini nelle strade per protestare contro la presenza dei razzisti sudafricani), viene all'Aquila a giocare con noi. Quanta emozione, rispetto e senso di inadeguadezza il giorno del primo allenamento e quanta semplicità e umiltà dimostrata dal campione che voleva imparare insieme a noi: che lezione! Rob, vero e proprio uomo immagine in patria, era velocissimo in attacco, duro (...sudafricano!!) in difesa. S'inserì alla grande in una squadra che faceva della velocità e della vita del gioco il suo credo profondo e sentito da tutti. Gli scudetti consecutivi del 1980 con Rob e dell'81 con This Burger, altro giocatore fortissimo nella sua concretezza tutta afrikans, non resero appieno le enormi potenzialità di quel gruppo... Ma ci sono stati altri importanti giocatori stranieri un pò ovunque in quegli anni... limitandoci all'Aquila come non ricordare Jorge Allen, argentino malinconico, Mike Brewer, teorico sopraffino con un enorme bagaglio tecnico, e poi il grande Frano Botika...classe pura...ma è un'altra storia...GRUN ha scritto:Resta con noi Bix... Sanzen credo ti riferissi a Louw, che giocò a L'Aquila tre campionati nella prima metà degli anni ottanta, ma credo che sia più opportuno che ci educa sull'argomento VEROSQUALO, quando vorrà ed avrà tempo...
E ti dimentichi di uno dei miei idoli, che ho anche inserito in un altro topic del sito nel XV ideale straniero che ho visto giocare:
DANIE GERBER.
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Tanto per incominciare un saluto a L3gs, oggi triste per la scomparsa di Malosti ed in tensione per il derby di domani. Poi, facendo, credo, opera gradita a Nebelhexe, vorrei partire dall'ultimo intervento di VEROSQUALO ed in particolare dal riferimento alla famigerata tournée estiva del 1981 effettuata dai sudafricani in Nuova Zelanda, per allungare un paio di considerazioni. Su quel periodo e su quelle partite mi sembra sia stato steso un velo, seppur non troppo spesso. Anche il bravissimo Pastonesi in ALL BLACKS, uscito nel 2003 per Baldini Castoldi Dalai, tende, su quel tema ad essere un pò elusivo ed a trascurare la drammatica portata che gli eventi ebbero, soprattutto in Nuova Zelanda. In una nazione che aveva sempre sonnecchiato in una sorta d'isolamento fisico ed emotivo, poco scossa da quelle tensioni, politiche, economiche, culturali, che avevano terremotato nei due decenni precedenti il mondo occidentale ed il suo immaginario collettivo, fu, inevitabilmente, il rugby, il sistema rugby, l'universo rugby, a innalzare la soglia di consapevolezza e ad accendere il fuoco. Tutto era incominciato con la lunga tournée, nell'estate 1976, degli All Blacks in un Sudafrica che, guidato dal nazionalista Balthazar Vorster, in carica dal 1966, aveva inasprito il regime di discriminazione razziale verso la popolazione di colore. Proprio nel 1976 si erano verificati i moti di Soweto, che seguiti l'anno dopo dai disordini nei quartieri neri di Johannesburg, lasciarono nelle strade più di seicento morti, causando una fortissima indignazione nei paesi stranieri. La decisione della federazione neozelandese d'intraprendere il tour apparve a molti inopportuna e determinò, tra l'altro, il primo boicottaggio della storia olimpica, voluto ed effettuato da molte nazioni africane, che non mandarono a Montreal i propri atleti per protesta contro La Nuova Zelanda (il CIO aveva già escluso da anni il Sudafrica). Dopo la condanna dell'Onu del 1979 ed il relativo imbargo commerciale, il paese africano si trovò in un isolamento totale, che precludeva, naturalmente, ogni possibilità di scambio sportivo. L'invito della federazione neozelandese inoltrato ai sudafricani per una tournée da svolgersi tra agosto e settembre del 1981, fu uno shock ed una provocazione al comitato olimpico internazionale, ma soprattutto scatenò conflitti generazionali durissimi nella nazione oceanica, con i padri opposti ai figli, e non in senso simbolico, con manifestazioni di protesta ched spesso sfociarono in scontri violenti tra partecipanti e forze dell'ordine. I tre test match si giocarono in un clima arroventato ed avvelenato, che guinse al parossismo nella partita di Auckland del 12.09.1981, quella ricordata da Verosqualo, vinta dagli All Blacks per 25-22 e rimasta famosa per i disordini registrati allo stadio ed il lancio di sacchi di farina da un aereo sul terreno di gioco. Fu un punto di svolta, il rugby aveva davvero perso l'innocenza e per la prima volta, da elemento identificativo ed aggregante, si era trasformato in strumento di separazione nel paese che più lo aveva amato e lo amava. Vorrei chiedere a Verosqualo, che in quegli anni ha condiviso sforzi sul campo ed amicizie fuori dal campo con grandi giocatori sudafricani, come essi avessero vissuto quei fatti. Era possibile, considerata la delicatezza del tema, parlare dell'aparthaid? Ci sono mai state tensioni dialettiche, discussioni sull'argomento, oppure era tabù? Come vivevano quell'isolamento che, tra l'altro precluse a molti di loro la possibilità di avere una carriera internazionale e giocare la Coppa del Mondo?
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Ti ringrazio, Caro GRUN.
Integro il pensiero sul grande Malosti, 2a linea rossoblu e membro della storica Prima Generazione del vivaio rossoblu, con un articolo scritto oggi da Malfatto sul Gazzettino di Rovigo:
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È morto Malosti, leggenda della palla ovale.
Un altro grande della Rugby Rovigo se n'è andato. A Tolone, in Francia, dove viveva dal 1957, è morto Giancarlo Malosti. Aveva 78 anni. Era stato protagonista giocando in terza linea della leggendaria stagione rossoblu degli anni Cinquanta. Nel corso della quale aveva conquistato i quattro scudetti del 1951, '52, '53 e '54 a fianco di Maci Battaglini, del quale era nipote, Romano Bettarello, Luigi Guandalini, Milto Baratella e tanti altri. Una splendida generazione di pionieri, che ha fatto conoscere e amare la palla ovale a Rovigo.
Malosti è morto il 22 marzo dopo una breve malattia, ma la notizia a Rovigo non era ancora arrivata. «Me l'ha detto ieri il cognato Gianni Cappellina - spiega commosso Doro Quaglio, altro monumento della storia rossoblu, grande amico di Giancarlo - ho telefonato subito in Francia per fare le condoglianze alla moglie e alle due figlie, che mi hanno raccontato delle sofferenze e del ricovero in ospedale degli ultimi giorni».
Malosti era nato a Rovigo il 28 ottobre 1928. In maglia rossoblu ha giocato fino a quando l'ha chiamato il Tolone, su consiglio proprio di Battaglini, che in Francia ha costruito parte del suo mito. «Nella massima serie francese - continua Quaglio - ha disputato altri sette campionati con il Tolone e il Vichy. Poi una serie di infortuni al ginocchio ha posto fine alla sua carriera. Era una terza linea pura. Un gran placcatore. Mi diceva: "Bisogna sempre fare il primo placcaggio dissuasivo, per evitare che l'avversario ci riprovi". E lui quando placcava era proprio così. Dissuasivo Allo stesso tempo era un attaccante efficace. Per questo ha giocato anche ala, soprattutto negli anni del Vichy».
Come terza linea Malosti ha vestito sette volte la maglia azzurra. In un'epoca (1953-58) in cui l'Italia disputava due, tre partite l'anno, sempre contro le stesse rivali. Infatti ha affrontato Spagna, Germania e cinque volte la Francia. Paese quest'ultimo nel quale poi si è stabilito, aprendo un'azienda del settore idraulico e prendendo la cittadinanza. Rovigo, però, gli è rimasta nel cuore. Ogni anno a maggio tornava a trovare parenti, amici e vecchi compagni di squadra. In quelle settimane lo si vedeva spesso al "Battaglini" tifare per la squadra rossoblu, o al trofeo "Milani" a dare consigli ai giovani, oppure seduto a un tavolo del Panathlon come ospite d'onore a dispensare ricordi pieni di emozioni. Emozioni che ora non regalerà più.
Ivan Malfatto
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Integro il pensiero sul grande Malosti, 2a linea rossoblu e membro della storica Prima Generazione del vivaio rossoblu, con un articolo scritto oggi da Malfatto sul Gazzettino di Rovigo:
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È morto Malosti, leggenda della palla ovale.
Un altro grande della Rugby Rovigo se n'è andato. A Tolone, in Francia, dove viveva dal 1957, è morto Giancarlo Malosti. Aveva 78 anni. Era stato protagonista giocando in terza linea della leggendaria stagione rossoblu degli anni Cinquanta. Nel corso della quale aveva conquistato i quattro scudetti del 1951, '52, '53 e '54 a fianco di Maci Battaglini, del quale era nipote, Romano Bettarello, Luigi Guandalini, Milto Baratella e tanti altri. Una splendida generazione di pionieri, che ha fatto conoscere e amare la palla ovale a Rovigo.
Malosti è morto il 22 marzo dopo una breve malattia, ma la notizia a Rovigo non era ancora arrivata. «Me l'ha detto ieri il cognato Gianni Cappellina - spiega commosso Doro Quaglio, altro monumento della storia rossoblu, grande amico di Giancarlo - ho telefonato subito in Francia per fare le condoglianze alla moglie e alle due figlie, che mi hanno raccontato delle sofferenze e del ricovero in ospedale degli ultimi giorni».
Malosti era nato a Rovigo il 28 ottobre 1928. In maglia rossoblu ha giocato fino a quando l'ha chiamato il Tolone, su consiglio proprio di Battaglini, che in Francia ha costruito parte del suo mito. «Nella massima serie francese - continua Quaglio - ha disputato altri sette campionati con il Tolone e il Vichy. Poi una serie di infortuni al ginocchio ha posto fine alla sua carriera. Era una terza linea pura. Un gran placcatore. Mi diceva: "Bisogna sempre fare il primo placcaggio dissuasivo, per evitare che l'avversario ci riprovi". E lui quando placcava era proprio così. Dissuasivo Allo stesso tempo era un attaccante efficace. Per questo ha giocato anche ala, soprattutto negli anni del Vichy».
Come terza linea Malosti ha vestito sette volte la maglia azzurra. In un'epoca (1953-58) in cui l'Italia disputava due, tre partite l'anno, sempre contro le stesse rivali. Infatti ha affrontato Spagna, Germania e cinque volte la Francia. Paese quest'ultimo nel quale poi si è stabilito, aprendo un'azienda del settore idraulico e prendendo la cittadinanza. Rovigo, però, gli è rimasta nel cuore. Ogni anno a maggio tornava a trovare parenti, amici e vecchi compagni di squadra. In quelle settimane lo si vedeva spesso al "Battaglini" tifare per la squadra rossoblu, o al trofeo "Milani" a dare consigli ai giovani, oppure seduto a un tavolo del Panathlon come ospite d'onore a dispensare ricordi pieni di emozioni. Emozioni che ora non regalerà più.
Ivan Malfatto
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Ultima modifica di L3gs il 8 giu 2006, 15:21, modificato 1 volta in totale.
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GRUN come al solito hai colto nel segno dei ricordi e hai "placcato" un argomento che deve essere approfondito...Sai L'Aquila si trova lontano dal centro pulsante del rugby del nordest e molte sono le trasferte lunghe in veneto e lombardia, allora come oggi, i momenti per parlare in autobus sono tanti e l'aparthaid è sempre stato al centro delle conversazioni...tra l'altro la nostra squadra era molto sensibile e ricettiva per le discussioni di politica italiana ed internazionale- specie gli avanti presso i quali, mi perdonino gli altri, la dialettica era una prassi-. Per un vezzo dell'allora presidente per molti anni gli stranieri dell'Aquila erano sudafricani...e così molti di noi ebbero la possibilità di conoscere la profonda differenza tra gli Afrikaans Boeri ed i discendenti della Corona Britannica, chiusi, religiosi al limite del fondamentalismo, con la sindrome e le paure dell'accerchiamento da parte della popolazione di colore, i Boeri, più, apparentemente, aperti, liberali, disponibili al contatto con le altre razze i british. Una sintesi di quei tempi poteva essere quella per cui ai Boeri Afrikaans era stata consegnata la Poltica e lo Stato mentre agli inglesi l'economia... Queste differenze si ritrovavano in modo chiarissimo tra i nostri compagni di squadra di allora. Rob Louw aperto, disponibile al colloquio, allegro e compagnone e, per esempio, Pienaar chiuso, serio, con la sua famigliola sempre la seguito. Ma a parte l'aspetto esteriore poi, in fondo, i discorsi erano molto simili e ad un interlocutore laico, come sarei adesso, allora la giovane età mi rendeva molto più intransigente, appariva l'enorme complessità di un problema che non è stato ancora risolto nonostante la carismatica presenza di Nelson Mandela. Apparve subito come il Sudafrica viveva male delle paurose contraddizioni. Il loro esito era incerto, in un continente sempre sull'orlo della distruzione, provocata dall' insensata miopia del mondo occidentale che paia voglia sempre vivere solo sul presente senza cura delle conseguenze di azioni devastanti ( colonialismo- responsabiltà di saccheggio di culture, economie, di popoli etc.). Quegli Afrikaans, quegli Inglesi, quegli Zulù, quegli 'Nxlosa, quei Boscimani quegli Indiani quegli Arabi e così via per molti altri popoli, diversi tra loro come lo siamo noi ed i Norvegesi, si trovavano ad anticipare i tempi di una società multirazziale di difficile costruzione. Ah, purtroppo, quante sono le persone che allora si scandalizzavano di quanto accadeva in Sudafrica ed oggi sono per leggi contro l'immigrazione nel terrore di una mescolanza di popoli e culture. Quanto bene ci ha insegnato anche il Rugby che la ricchezza e la vitalità derivano invece proprio dalla rinnovazione conseguente alla fusione di più popoli e più culture. Ok sono andato fuori tema, ma l'argomento è sentito e sono veramente preoccupato di chi vuole contrastare la fuga dalla fame e dalla morte con chiusure e resistenze...dovrebbe studiare un pò di fisica dei fluidi...e capirebbe che...quando i vasi sono comunicanti...!!Torniamo a due soli aneddoti: Rob ci raccontò del clima in Nuova Zelanda. Gli Springbooks vivevano blindati e dovevano dormire negli spogliatoi degli stadi dove dopo avrebbero giocato... Pienaar in una delle nostre lunghissime conversazione ritenendo di ofrirmi la riflessione conclusiva mi disse:" Ti rendi conto quelli vogliono 1 uomo 1 voto..." scuotendo la testa per quello che è solo il principio base della democrazia...solo che in Sudafrica vivono 20 milioni di persone di colore e meno di 4 milioni di bianchi...era la fine del loro mondo!! Non so però quante Nazioni avrebbero retto ad una soluzione geniale come quella voluta da Mandela: le confessioni dei crimini in pubblici tribunali per avere il perdono e la riconciliazione...ovviamente per i casi ove non vi siano crimini verso l'Umanità. A chi è interessato consiglierei tra gli altri il film "in my Country" con la splendida interpretazione di Giulette Binoche...GRUN ha scritto:Tanto per incominciare un saluto a L3gs, oggi triste per la scomparsa di Malosti ed in tensione per il derby di domani. Poi, facendo, credo, opera gradita a Nebelhexe, vorrei partire dall'ultimo intervento di VEROSQUALO ed in particolare dal riferimento alla famigerata tournée estiva del 1981 effettuata dai sudafricani in Nuova Zelanda, per allungare un paio di considerazioni. Su quel periodo e su quelle partite mi sembra sia stato steso un velo, seppur non troppo spesso. Anche il bravissimo Pastonesi in ALL BLACKS, uscito nel 2003 per Baldini Castoldi Dalai, tende, su quel tema ad essere un pò elusivo ed a trascurare la drammatica portata che gli eventi ebbero, soprattutto in Nuova Zelanda. In una nazione che aveva sempre sonnecchiato in una sorta d'isolamento fisico ed emotivo, poco scossa da quelle tensioni, politiche, economiche, culturali, che avevano terremotato nei due decenni precedenti il mondo occidentale ed il suo immaginario collettivo, fu, inevitabilmente, il rugby, il sistema rugby, l'universo rugby, a innalzare la soglia di consapevolezza e ad accendere il fuoco. Tutto era incominciato con la lunga tournée, nell'estate 1976, degli All Blacks in un Sudafrica che, guidato dal nazionalista Balthazar Vorster, in carica dal 1966, aveva inasprito il regime di discriminazione razziale verso la popolazione di colore. Proprio nel 1976 si erano verificati i moti di Soweto, che seguiti l'anno dopo dai disordini nei quartieri neri di Johannesburg, lasciarono nelle strade più di seicento morti, causando una fortissima indignazione nei paesi stranieri. La decisione della federazione neozelandese d'intraprendere il tour apparve a molti inopportuna e determinò, tra l'altro, il primo boicottaggio della storia olimpica, voluto ed effettuato da molte nazioni africane, che non mandarono a Montreal i propri atleti per protesta contro La Nuova Zelanda (il CIO aveva già escluso da anni il Sudafrica). Dopo la condanna dell'Onu del 1979 ed il relativo imbargo commerciale, il paese africano si trovò in un isolamento totale, che precludeva, naturalmente, ogni possibilità di scambio sportivo. L'invito della federazione neozelandese inoltrato ai sudafricani per una tournée da svolgersi tra agosto e settembre del 1981, fu uno shock ed una provocazione al comitato olimpico internazionale, ma soprattutto scatenò conflitti generazionali durissimi nella nazione oceanica, con i padri opposti ai figli, e non in senso simbolico, con manifestazioni di protesta ched spesso sfociarono in scontri violenti tra partecipanti e forze dell'ordine. I tre test match si giocarono in un clima arroventato ed avvelenato, che guinse al parossismo nella partita di Auckland del 12.09.1981, quella ricordata da Verosqualo, vinta dagli All Blacks per 25-22 e rimasta famosa per i disordini registrati allo stadio ed il lancio di sacchi di farina da un aereo sul terreno di gioco. Fu un punto di svolta, il rugby aveva davvero perso l'innocenza e per la prima volta, da elemento identificativo ed aggregante, si era trasformato in strumento di separazione nel paese che più lo aveva amato e lo amava. Vorrei chiedere a Verosqualo, che in quegli anni ha condiviso sforzi sul campo ed amicizie fuori dal campo con grandi giocatori sudafricani, come essi avessero vissuto quei fatti. Era possibile, considerata la delicatezza del tema, parlare dell'aparthaid? Ci sono mai state tensioni dialettiche, discussioni sull'argomento, oppure era tabù? Come vivevano quell'isolamento che, tra l'altro precluse a molti di loro la possibilità di avere una carriera internazionale e giocare la Coppa del Mondo?
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VEROSQUALO, ho letto e riletto con concentrazione e crescente partecipazione emotiva il tuo ultimo intervento e devo dirti che anche questa volta mi trovo in piena sintonia col tuo pensiero. Ma al di là delle "affinità elettive", delle concordanze di vedute che posso avere con te, mi pare che quelle parole possano coinvolgere anche chi non possiede la stessa visione del mondo, perché scritte da una persona preparata e sensibile che era dentro la questione, nella pancia del problema, se così posso esprimermi. Mi ha divertito sapere che i trequarti aquilani erano meno propensi alle vertigini della dialettica dei rudi avanti, tutti i piloni del mondo ti manderanno un bacio per questo riscatto... Tornando alle faccende serie, vado in pressing sulla tua riflessione finale: è così, davvero pochi paesi avrebbero avuto la forza di sottoporsi a quella sorta di dolorosa, tragica, terapia di gruppo che è stata l'istituzione dei tribunali della riconciliazione, promossa da Mandela e presieduta dal vescovo Desmond Tutu. Oggi certe scelte della federazione rugbistica sudafricana, forzate dal governo, possono apparire a molti poco comprensibili e tecnicamente inadeguate (mi riferisco alle "quote" obbligatorie dei giocatori di colore nelle franchigie del Super 14 e nella nazionale), oltreché discriminatorie nei confronti degli atleti bianchi. Si tratta però di un contrappasso terapeutico, di una misura riequilibratrice, ed è emblematico che queste funzioni, atti pratici certo, ma pure snodi simbolici di significativa pregnanza per una nazione intera, siano affidati al rugby, rugby che peraltro laggiù deve farsi perdonare più di qualcosa, considerato che per anni i giocatori neri non hanno potuto vestire la maglia degli Springbocks (relegati nella selezione dei Leopards) e che per molto tempo non vennero concessi i visti d'ingresso ai maori... Sempre a chi è interessato indicherei anche i romanzi ed i racconti di Nadine Gordimer, due splendidi lavori del Nobel J.M. Coetzee, "Vergogna" ed "Infanzia" e la visione dell'episodio sudafricano della serie "Uomini e Rugby", di cui ho già parlato in questo thread.
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Sono impressionato...non aggiungo altro....dalla tua conoscenza dei problemi e della loro connessione con il Rugby che non vive in un mondo a parte...Spesso Rob Louw si è lamentato delle quote, peraltro, a suo dire e concordo, il principio sportivo dovrebbe tutelare sempre il più meritevole, ma come dici tu la questione in Sudafrica risente di problemi ben più rilevanti rispetto alla meritocrazia sportiva... Il tema a questo punto si sposta sul rugby ed il mondo, che già definire esterno accetta un'idea di separazione e di vita parallela che è illusoria per tutti, quindi anche per gli sportivi. Ebbene noi giocatori di allora, dilettanti (tutt'altro che allo sbaraglio ) abbiamo vissuto nel bene e nel male il nostro tempo con le inquietudini dei giovani con il coinvolgimento alle vicende sociali, politiche con amicizie nate con il rugby e mai finite, con gli amori per delle idee e per delle donne che ci dividevano e, in fondo, ci univano...eravamo solo dei giovani uomini che mettevano tutto loro stessi in quello che facevano e trasportavano tutto, nel bene e nel male, in campo. Lì si misuravano e venivano fuori i benefici e le difficoltà di una vita fatta non solo di campo e palestra ma anche di impegno di fatica per costruire il futuro per fondare quell'amicizia non legata a nessun interesse e perciò duratura...questo mi ha dato il rugby e non finirò mai di ringraziarlo...non potevo desiderare di più...certo non un impegno professionale caratterizzato da qualche vittoria in più ( anche se mi sembra la Nazionale non è che abbia chissà quali benefici dal professionismo...ovviamente con le dovute proporzioni...), ma sicuramente senza gli amici veri- non colleghi- senza la consapevolezza di avere vissuto gli anni più belli relegato in un limbo fuori della realtà...GRUN ha scritto:VEROSQUALO, ho letto e riletto con concentrazione e crescente partecipazione emotiva il tuo ultimo intervento e devo dirti che anche questa volta mi trovo in piena sintonia col tuo pensiero. Ma al di là delle "affinità elettive", delle concordanze di vedute che posso avere con te, mi pare che quelle parole possano coinvolgere anche chi non possiede la stessa visione del mondo, perché scritte da una persona preparata e sensibile che era dentro la questione, nella pancia del problema, se così posso esprimermi. Mi ha divertito sapere che i trequarti aquilani erano meno propensi alle vertigini della dialettica dei rudi avanti, tutti i piloni del mondo ti manderanno un bacio per questo riscatto... Tornando alle faccende serie, vado in pressing sulla tua riflessione finale: è così, davvero pochi paesi avrebbero avuto la forza di sottoporsi a quella sorta di dolorosa, tragica, terapia di gruppo che è stata l'istituzione dei tribunali della riconciliazione, promossa da Mandela e presieduta dal vescovo Desmond Tutu. Oggi certe scelte della federazione rugbistica sudafricana, forzate dal governo, possono apparire a molti poco comprensibili e tecnicamente inadeguate (mi riferisco alle "quote" obbligatorie dei giocatori di colore nelle franchigie del Super 14 e nella nazionale), oltreché discriminatorie nei confronti degli atleti bianchi. Si tratta però di un contrappasso terapeutico, di una misura riequilibratrice, ed è emblematico che queste funzioni, atti pratici certo, ma pure snodi simbolici di significativa pregnanza per una nazione intera, siano affidati al rugby, rugby che peraltro laggiù deve farsi perdonare più di qualcosa, considerato che per anni i giocatori neri non hanno potuto vestire la maglia degli Springbocks (relegati nella selezione dei Leopards) e che per molto tempo non vennero concessi i visti d'ingresso ai maori... Sempre a chi è interessato indicherei anche i romanzi ed i racconti di Nadine Gordimer, due splendidi lavori del Nobel J.M. Coetzee, "Vergogna" ed "Infanzia" e la visione dell'episodio sudafricano della serie "Uomini e Rugby", di cui ho già parlato in questo thread.
Parleranno i nostri giocatori di oggi di apartheid?? o di sud del mondo?? o dei popoli oppressi?? o del consumo delle risorse appannaggio di pochi?? Noi ne parlavamo e ce ne preoccupavamo e ci facevamo camminare il cervello...che poi in campo poteva sempre tornare utile averlo allenato...