Il rugby mi ha tolto dalla strada

La Storia del Rugby, le sue Tradizioni, le Leggende, attraverso documenti, detti, racconti, aforismi.

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sanzen
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Re: Il rugby mi ha tolto dalla strada

Messaggio da sanzen » 10 nov 2009, 19:01

Propio adesso ci fermiamo...siamo al 61 minuto e gli AllBlacks stanno conducendo per 15-6.
Li incominciò l'Italia e furono venti minuti di grande gioco e se la memoria non mi tradisce, la partita la ricordo a sprazzi, finimmo in crescendo segnando una meta e andando MOLTO vicino alla seconda.
Capisco tutti i lettori di questa discussione siano impegnati nei preparativi per i festeggiamenti dell'evento, ma interrompere così è quasi un delitto.
Mi tengo l'Amarone e il Valpolicella che avevo comprato per omaggiarvi della vibrante rievocazione?
Pensateci voi.........

GRUN
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Re: Il rugby mi ha tolto dalla strada

Messaggio da GRUN » 10 nov 2009, 19:15

Amarone? Ah, se il vescovo moro di Verona, che abbraccio e saluto con affetto, è pronto a stappare devo darmi da fare... Prometto che domani tirerò le ultime pennellate.
Ersì, che te devo ddì? Preparerò le trenette, anzi, le trofie di farina di castagne; son così buone...

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Re: Il rugby mi ha tolto dalla strada

Messaggio da GRUN » 11 nov 2009, 12:04

Wilson calciò e la mise in mezzo ai pali. 6-18 e questione chiusa, vero? No, questione aperta, pensarono i giocatori italiani.
Mourie, capitano giovane ma dal carisma immenso e dalla inusuale capacità di guidare i compagni e di comprendere le situazioni, ci aveva visto giusto. I neozelandesi avevano finito la benzina e gli uomini di Villepreux, corroborati nel morale dall'andamento della partita, lo avevano capito.
Gli ultimi venti minuti, quelli sì, vennero giocati in continua ed esaltante proiezione offensiva. Gli italiani ebbero un possesso costante, occuparono la metà campo avversaria e diedero qualità al gioco alla mano con sostegni puntuali e continui ed un'occupazione razionale degli spazi allargati. La meta, la meta leggendaria di Nello Francescato della quale si continua a parlare ancora oggi, fu la conseguenza e l'attestazione simbolica di quell'atteggiamento: quel pomeriggio non poteva essere reso glorificato da una meta rapinosa, da un'azione confusa, da uno spunto casuale e farraginoso. Fu inevitabile segnare così, fu giusto segnare così.
De Anna raccolse l'ovale nella nostra metà campo da mischia ordinata e partì per andare a contatto. I suoi novantacinque chili (all'epoca era un sovradimensionato...) esaltati da una velocità non comune (era stato decatleta e correva su tempi vicini agli 11 netti sui cento metri) gli consentirono di rompere il placcaggio; fu bravo a giocare off load (ma in quei giorni non sapevamo che si chiamasse così...) per Mariani. L'azione iniziò un debordaggio ondivago e zigzagante verso sinistra, toccando molte mani, senza che fosse mai compromesso l'avanzamento.

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Re: Il rugby mi ha tolto dalla strada

Messaggio da GRUN » 11 nov 2009, 16:26

Il crescendo si articolò secondo le modalità che le regole di quel rugby e le conoscenze dei giocatori garantivano. Tutti sapevano che se la palla fosse andata a terra l'azione sarebbe morta e per questo si proponevano sostegni ed effettuavano passaggi proprio lì, al limite, con l'ovale che sembrava sul punto di baciare il prato e che invece polpastrelli miracolosi tenevano in vita. Tutte le grandi mete degli anni settanta, compresa quella di Edwards in maglia Barbarians contro gli All Blacks, avevano questo gusto per l'azzardo, questo desiderio dell'ampio respiro: non si giocavano (o si giocavano pochissimo) le multifasi, si giocava un'unica, maestosa fase, senza soluzione di continuità. Non si andava a cozzare contro l'avversario (o si andava a cozzare poco), si cercava di evitare l'avversario e di esplorare gli spazi vuoti. E come tutte le grandi mete anche in quella s'imposero gli eversori, i trasgressori. Era il sogno di Villepreux, il sogno di James, il sogno di tutti i grandi padri del rugby moderno e contemporaneo: gli uomini grossi si ribellavano e decidevano che sì, avrebbero continuato a portare il piano, ma qualche volta avrebbero messo le mani sui tasti. Le ali smettevano d'immalinconirsi tenendo ottanta minuti la riga laterale tra le balle e, con giudizio e moderazione, annusavano l'aria delle zone più interne del campo. Gli estremi (seguendo l'esempio di Villepreux giocatore) rifiutavano di essere conficcati a vita dietro a tutti e s'inserivano nell'azione d'attacco. Era la rivoluzione movimentista, era la nuova dimensione che il rugby degli anni settanta indicava come il riferimento.
E l'azione italiana ne era una splendida esemplificazione: all'azione parteciparono De Anna, Mariani, Basei, Bargelli (mischiaroli sodi e tosti) e Gaetaniello, un estremo, più i funamboli di professione, Francescato e Mascioletti. E proprio furono due intuizioni eterodosse del grande aquilano a rifinire la giocata. La prima fu di schiodarsi dalla linea laterale e di garantire un sostegno interno; la seconda, chiusa da un neozelandese la linea di passaggio a mezza altezza e palese il rischio d'intercetto, di alzare per il compagno un geniale lay-up, una piccola palombella, messa lì con quell'elegante nonchalance che era una delle cifre espressive del gioco offensivo di Mascioletti.

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Re: Il rugby mi ha tolto dalla strada

Messaggio da GRUN » 11 nov 2009, 16:47

Il flusso era inarrestabile. La palla arrivò a Bargelli, che a tre metri dalla linea non si fece ingolosire e passò a Nello Francescato, che gli aveva garantito un sapiente angolo di sostegno. Nello schiacciò in meta, accompagnato dal ruggito dello stadio. Era il 69', molti piansero.
Bettarello trasformò e a 11 minuti dalla conclusione eravamo sotto il break, con i neozelandesi ansimanti e visibilmente preoccupati.
Gli italiani non si fermarono e continuarono a portare pressione; poco dopo Pogutz accordò una punizione ma Bettarello, da posizione molto favorevole, sbagliò tirandosi dietro frasi irriferibili.
Non era finita, in campo c'era solo una squadra e non era quella che tutti si aspettavano. All'ultimo minuto, entrando nei loro ventidue, esplorammo ancora il lato sinistro del campo, quello dove imperava Mascioletti. Palla all'ala e folgorante accelerazione dell'aquilano, il quale trovatosi di fronte Dunn, lo scavalcò con un calcetto a seguire, a sei sette metri dalla linea di meta. Il neozelandese andò diritto su Mascioletti e lo tagliò fuori con un fallo colossale. Forse non era da assegnare la meta tecnica, come avrebbero voluto Ersilio Bargelli ed alcuni milioni d'italiani, perché l'estremo Wilson era riuscito ad accorrere e probabilmente sarebbe riuscito ad annullare anche senza il fallo del compagno. Di certo era punizione e sicuramente gli All Blacks rischiarono grossissimo. Pogutz non se la sentì d'intervenire e poco dopo fischiò la fine.

sanzen
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Re: Il rugby mi ha tolto dalla strada

Messaggio da sanzen » 11 nov 2009, 22:26

Grazie infinite a Marco di Genova che ha dedicato al rugby italiano una serie d’indelebili racconti scritti con mano leggera e felice. Grazie per tenere viva la memoria di un’epoca da cui noi tutti veniamo e che è la radice che ci ha portato fin qui

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Re: Il rugby mi ha tolto dalla strada

Messaggio da yary » 13 nov 2009, 14:24

Grazie Marco,
sono commosso, spero di esserlo anche domani ma quello rimane, comunque per adesso, il miglior risultato italiano contro gli A.B..
Un abbraccio

Un fiasco del migliore ti aspetta. :wink:
Amo il rugby non perché è violento, ma perché è intelligente. Françoise Sagan

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Re: Il rugby mi ha tolto dalla strada

Messaggio da billingham » 13 nov 2009, 15:16

GRUN ha scritto:Il crescendo si articolò secondo le modalità che le regole di quel rugby e le conoscenze dei giocatori garantivano. Tutti sapevano che se la palla fosse andata a terra l'azione sarebbe morta e per questo si proponevano sostegni ed effettuavano passaggi proprio lì, al limite, con l'ovale che sembrava sul punto di baciare il prato e che invece polpastrelli miracolosi tenevano in vita. Tutte le grandi mete degli anni settanta, compresa quella di Edwards in maglia Barbarians contro gli All Blacks, avevano questo gusto per l'azzardo, questo desiderio dell'ampio respiro: non si giocavano (o si giocavano pochissimo) le multifasi, si giocava un'unica, maestosa fase, senza soluzione di continuità. Non si andava a cozzare contro l'avversario (o si andava a cozzare poco), si cercava di evitare l'avversario e di esplorare gli spazi vuoti. E come tutte le grandi mete anche in quella s'imposero gli eversori, i trasgressori. Era il sogno di Villepreux, il sogno di James, il sogno di tutti i grandi padri del rugby moderno e contemporaneo: gli uomini grossi si ribellavano e decidevano che sì, avrebbero continuato a portare il piano, ma qualche volta avrebbero messo le mani sui tasti. Le ali smettevano d'immalinconirsi tenendo ottanta minuti la riga laterale tra le balle e, con giudizio e moderazione, annusavano l'aria delle zone più interne del campo. Gli estremi (seguendo l'esempio di Villepreux giocatore) rifiutavano di essere conficcati a vita dietro a tutti e s'inserivano nell'azione d'attacco. Era la rivoluzione movimentista, era la nuova dimensione che il rugby degli anni settanta indicava come il riferimento.
E l'azione italiana ne era una splendida esemplificazione: all'azione parteciparono De Anna, Mariani, Basei, Bargelli (mischiaroli sodi e tosti) e Gaetaniello, un estremo, più i funamboli di professione, Francescato e Mascioletti. E proprio furono due intuizioni eterodosse del grande aquilano a rifinire la giocata. La prima fu di schiodarsi dalla linea laterale e di garantire un sostegno interno; la seconda, chiusa da un neozelandese la linea di passaggio a mezza altezza e palese il rischio d'intercetto, di alzare per il compagno un geniale lay-up, una piccola palombella, messa lì con quell'elegante nonchalance che era una delle cifre espressive del gioco offensivo di Mascioletti.
quoto tutta questa frase per un semplice motivo...la meta non l'ho vista, ma il tuo racconto in questa parte mi ha avvinto e emozionato parecchio! Attendo impaziente il tuo contributo su Fulvio! E grazie per l'immensa enciclopedia ovale che condividi con noi, e per la maestria con cui riesci a raccontarcela!
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Invece di farmi un busto ed esporlo a Murrayfield, mi impaglieranno e mi appenderanno in una taverna (Roy Laidlaw)

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